La Fondazione Premio Napoli in occasione della pubblicazione della monografia sullo scultore Antonio Borrelli,ha voluto dedicare all’artista un incontro presso il Palazzo Reale di Napoli: “Antonio Borrelli: dalla Cina a Pizzofalcone, la storia di un artista napoletano”.
Di convinzioni non religiose egli partecipa da molti anni con sua moglie Diana, di fede cattolica, al Gruppo del dialogo promosso dal Movimento dei Focolari in Campania.
“Il dialogo è fondamentale nella vita dell’umanità”, egli dice. “Quando c’è dialogo non c’è conflitto… ma non è facile imparare a dialogare. Sentii questa parola per la prima volta da Togliatti, in anni difficili, quando alla base del PCI c’era risentimento per certe posizioni della Chiesa e per la scomunica. Ciò nonostante, Togliatti lanciò tra i comunisti il dialogo con i cattolici. Fu certamente una scelta di lungimiranza politica”.
Cosa ricordi di quegli anni?
Avrò avuto 18-19 anni e ricordo un grande entusiasmo, un grande desiderio di democrazia. Mi iscrissi al PCI dopo l’attentato a Togliatti. Un’adesione palpitante, nella consapevolezza di contribuire in tal modo al rinnovamento della società, nello spirito di una libertà ritrovata dopo gli anni duri del fascismo.
Quanto ha inciso su questa scelta il rapporto con la tua famiglia di origine?
Il rapporto che c’era tra noi si basava su valori fondamentali quali il lavoro e l’onestà. Una famiglia semplice, popolare, e radicata nella cultura cattolica. Per questo amo definirmi “un cattolico non credente” nel senso che la mia vita è intrisa di quei valori che provengono dal cattolicesimo… Pur avendo vissuto un allontanamento dalla fede, non ho mai voluto spezzare le mie radici storiche e culturali e sono stato sempre propenso al dialogo col mondo cattolico.
Sei intervenuto più volte in questi ultimi tempi sul problema della pace e spesso hai affermato che c’è un rapporto diretto tra il dialogo e la pace.
Un rapporto stretto perché se non c’è il dialogo corriamo il rischio di risolvere i problemi grandi e piccoli con una guerra.
Problema della pace strettamente connesso con quello economico…
Non possiamo continuare a vivere come se non esistessero popoli che muoiono di fame. E’ un discorso che attraversa il mondo intero, e deve coinvolgere grandi e piccoli in maniera nuova…Se vogliamo un mondo in pace dobbiamo fare i conti con la triste realtà di chi non ha come vivere.
Gli Stati hanno giustificato l’ultima guerra in Iraq con la necessità della difesa.
Siamo ancora imbevuti di cultura imperiale. Prima i romani, poi gli inglesi, poi i francesi, ora gli USA… Per questo dico che dobbiamo trovare insieme – e il dialogo è fondamentale – forme nuove di interventi economici per rispondere alle esigenze di molti popoli della terra, e non andare a versare sui nostri avversari tonnellate e tonnellate di esplosivo…Ripeto: il problema di base è per me la fame nel mondo. Risolto quel problema penso che molte cose, anche a livello terroristico, cambierebbero…
Quale contributo offrire in questo momento ancora così carico di tensioni.
Il primo passo, non facile, è l’accettazione delle diversità. Le diversità nel mondo sono una ricchezza e non un elemento di divisone. Ma bisogna fare ancora molta strada perché questa visione entri nella nostra mentalità.
Lavori da molti anni in campo artistico soprattutto nella scultura, per il quale hai ricevuto l’importante “Premio Palizzi” nel 2006, questo grande riconoscimento della città di Napoli all’interno del Premio Napoli 2009 e con l’importante monografia sulla tua opera. Ritieni che l’arte abbia un suo specifico da offrire per il dialogo e per la pace?
Il linguaggio dell’arte è sempre universale ed è comprensibile da ogni uomo, in ogni cultura. C’è come un legame profondo tra tutti gli artisti della terra, quelli di ieri e quelli di oggi. Il dialogo tra gli artisti può aiutare anche gli altri a capire che si può progettare insieme, pur essendo diversi.
Hai insegnato all’Accademia delle Belle Arti per tanti anni e molti allievi oggi sono persone affermate nel campo artistico. Le loro testimonianze durante la giornata organizzata dal Premio Napoli avevano un denominatore comune: ti erano riconoscenti per il rapporto che hai sempre costruito con loro prima di ogni altra cosa: un rapporto di onestà, trasparenza, piena collaborazione e ricerca comune.
Ho sempre sentito che c’era uno stretto rapporto tra quello che realizzavo come artista e la purezza, la sincerità la genuinità… tutte manifestazioni di quel “divino” che è in noi, quel divino che per un credente è l’orma di Dio, e per me quell’energia primordiale che ha dato vita al cosmo, al sistema solare, alle stelle, ad un lago…. E tutto questo ho cercato di trasmetterlo con la vita ai miei figli e ai miei allievi.