Le ricerche spazio-strutturali di Antonio Borrelli approdano con inaspettata evidenza al mondo delle immagini totemiche orientali; e non a caso del resto, perché l’artista è vissuto per un certo tempo in Cina. Le sue figurazioni fitte di episodi plastici: sporgenze, buchi, segni e linee radiali, che si dipartono dal centro dell’immagine, spingendosi vigorosamente verso l’esterno come spinti da una energica forza esplosiva, mantengono, tuttavia, pur nella loro molteplicità di episodi particolari, una assoluta essenzialità e unità volumetrica.
Difficile ridurre nel segno grafico, per sua natura stessa astratto e sintetico, una immagine che si caratterizza e si concreta nella piena sfericità, nella continulta nello spazio e negli innumerevoli aspetti visuali delle sue strutture. Per lo scultore, il disegno in genere rimane uno strumento sussiduario, nel processo creativo e ha la funzione di registrare le successive fasi attraverso le quali quel medesimo processo approda alla definizione dell’immagine. Borrelli, con queste sue curiose “tavole” argentate – che hanno qualcosa di “remoto” e di misterioso e che ricordano i segni magici che ornano certi codici delle antiche religioni dell’Oriente – mi pare sia riuscito a realizzare, con un segno libero e autonomo, una serie di immagini che si collegano e si inseriscono con naturalezza nel contesto della sua opera di scultore, senza esserne la letterale traduzione, il fascino di queste “tavole” del Borrelli risiede anche nel modo come oggetti ed elementi tratti dalla realtà comune, quotidiana: pezzi di motori e di altre macchine utensili, ferme nel mondo vegetale ed antropomorfe, riescono ad amalgamarsi ed a fondersi, dando vita ad un “evento” che è, ad un tempo, fantastico, anzi fantascientifico e umilmente umano.
Paolo Ricci